A marzo 2018 la Commissione Europea ha presentato due soluzioni che facessero chiarezza sulla questione della tassazione digitale.

Il commissario degli Affari economici, Pierre Moscovici, li reputa degli strumenti necessari per riportare equità tra i modelli di business digitali e tradizionali, in quanto i primi sono soggetti ad un’aliquota fiscale più bassa.

Ma in cosa consistono le due proposte?

Comprehensive solution

La soluzione globale, strutturale e di lungo termine, è volta a permettere agli stati UE di tassare i profitti delle società che vantano una presenza digitale significativa. In sostanza questa tassazione vorrebbe colpire i colossi del web, anche se non hanno una presenza fisica sul territorio.

Rientrano nella fattispecie le aziende che superano 7 milioni di ricavi in uno Stato membro, il cui numero di utenti che accedono al servizio è superiore a 100.000 oppure che hanno un numero di contratti digitali stipulati con imprese-utenti superiore a 3000 unità.

Molto vasto è l’elenco dei servizi digitali che sono stati intercettati, sia a livello b2b sia b2c, e questo sta a significare che se dovesse andare in porto questa tipologia di tassazione cambierebbe tutto.
Una volta identificate le realtà da tassare come si farebbe ad individuare la base di utile a cui applicare la tassa? Attraverso un’analisi funzionale, rispondono i bene informati.

Targeted solution

L’imposta temporanea, invece, sarà applicabile solo a quelle categorie di servizi digitali la cui generazione di ricavi dipende dalla partecipazione degli utenti o dallo scambio di dati (Google, Booking, Amazon, etc.).

Quest’imposta del 3% verrà riscossa dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti e sarà applicata a quelle aziende che hanno un fatturato mondiale superiore a 750 milioni di euro o un ricavo europeo superiore a 50 milioni.

Attenzione, queste proposte devono essere approvate in modo unanime da tutti gli Stati dell’Unione ma alcuni Paesi hanno già dimostrato la loro contrarietà stringendo accordi con le aziende; tra questi spicca l’Irlanda.

Web tax in Italia

Parlando invece della web tax italiana ci riferiamo a un’imposta sulle transazioni digitali non detraibile e che potrebbe essere vista come incompatibile con l’IVA. In comune con quella europea ha l’aliquota pari al 3%.

Quest’imposta è dovuta solo nel caso in cui la transazione è effettuata nei confronti di un sostituto d’imposta italiano e si applica a tutti i soggetti prestatori che effettuano un minimo di 3000 unità di transazioni digitali.

Il prelievo avverrebbe alla fonte: mentre in Europa l’azienda si dovrà auto dichiarare, in Italia il committente, nel momento in cui pagherà, tratterà l’aliquota e lo farà mensilmente.

Va sottolineato che si tratta di una legge italiana che non ha gli strumenti per poter essere operativa e confligge su molti aspetti con quella europea. Nel caso in cui quest’ultima andasse in porto, ovviamente, la versione nostrana cesserebbe di produrre effetti.

Non ci resta che aspettare il 2020 per vedere se la proposta europea prenderà concretamente forma.

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